Da piccini si imparano in modo naturale un sacco di cose.
Pensate alla lingua! Oppure al leggere e allo scrivere, attività che si danno per scontate ma che, se apprese in tarda età, risulterebbero uno scoglio.
Poi si impara ugualmente, ma quello che si ottiene è spesso una conoscenza parziale.
È così che mi approccio alla darkwave dei Canaan, con l’entusiasmo di chi in tarda età ha voluto far suo un genere con cui non è nato.
Spero a questo punto che la mia disamina possa darvi una prospettiva diversa su cui riflettere.
I Canaan, per chi non li conoscesse, sono una realtà meneghina presente sul territorio dal 1996 e con all’attivo 7 album incluso questo “Some Last Echo” di cui andremo a parlare.
Nonostante nel corso della loro carriera si siano inoltrati anche in territori ambient qui questo elemento è contingentato e la loro ultima fatica è inquadrabile principalmente nella darkwave anche se con toni più scuri, rivelando un’anima doom che d’altronde tradisce le origini del gruppo.
Facendo un parallelo con gli “Ulver”, primo nome che mi è venuto in mente ascoltando gli ultimi due lavori, se l’abum precedente, “la citta che respira”, è accostabile a “Perdition City” (che combinazione i titoli!), disco freddo alla deriva nei territori dell’ambient e dell’elettronica più alienante, questo lo associo a “The Assassination of Julius Caesar”, album emozionale ricco di melodie struggenti avvolte da un respiro scuro e greve anche se pervaso da una ritmica pulsante che nei Canaan non è presente.
Un altro gruppo che mi viene in mente sono i “Diary of Dreams” nelle loro performace più intime e acustiche: musicalmente diversi ma simili nelle intenzioni.
A me l’album nel complesso è piaciuto e mi ha emozionato, soprattutto girando in queste giornate solari nelle zone più caotiche di Roma con la cancellazione del rumore delle cuffie attivata in modo da creare un perfetto isolamento dall’ambiente circostante.
Innanzitutto è realizzato con grande professionalità a partire dalla grafica d’effetto della cover fino al missaggio che risulta perfetto.
In secondo luogo l’ascolto mi dà quel senso di estraniazione dalla realtà grazie ad una combinazione ben riuscita tra elettronica e strumenti tradizionali, il tutto annegato in un mare di riverberi su cui domina la voce naturalmente profonda e intensa di Mauro Berchi.
Parlando dei singoli brani sono rimasto affascinato dall’intro parlato di “The Traveller” che conduce alle 5 note delicatissime e successive variazioni su cui si appoggia lieve il cantato.
Molto evocativa anche “Dissolved” che nel lungo intro si concede all’ambient per poi tornare in territori darkwave ma con lentezza, molta lentezza e con un procedere splendidamente incerto, come se tutto il brano fosse pervaso da un magnifico senso di incompiutezza.
La chiusura prettamente strumentale abbandona le percussioni ed è struggente: da sentire molte molte volte per tatuarsela sul cuore.
“In A Place I Have Never Seen” ha una struttura più linerare e risulta di più semplice assimilazione ma con una linea melodica non banale ed evocativa così come nel caso di “My Will” che successivamente ad un intro dark-ambient può vantare un bellissimo arpeggio in apertura che diventa poi tema ricorrente.
L’album come anticipavo si può dire riuscito ma a parer mio presenta delle ombre date da alcune progressioni armoniche ripetitive e scontate che penso abbiano lo scopo di rendere easy listening alcuni brani dandogli un’impronta catchy che in questo contesto risulta fuori luogo.
In questi casi il risultato è la perdita di quell’atmosfera onirica che i nostri sanno sapientemente creare e che a volte sanno pure distruggere.
Vi faccio degli esempi: il refrain di “Anger Tides”, ripetitivo e con una progressione di accordi abbastanza scontata che la linea vocale non riesce a personalizzare.
Anche la progressione ascendente di “No One” mi risulta stucchevole, con quel “forgive me” ossessivo che va regolarmente sulla nota che ci aspettiamo.
Ecco, io questo genere lo preferisco a volte quando la strada non è così evidente e ci si perde.
Il disco nel suo complesso, nonostante alcune cadute, può comunque definirsi un lavoro ben riuscito che in certi casi nasconde alcune gemme che vi si paleseranno dopo diversi ascolti.
Consigliato.
Meghistos
Tracklist:
- Anger Tides
- Like A Broken Flag
- The Traveller
- Dissolved
- No One
- A Dream To End All Dreams
- In A Place I’ve Never Seen
- All These Sins
- Takers
- My Will
- A Minor Life
- The Last Of My Kind
- Anno: 2024
- Etichetta: Eibon Records
- Genere: Dark Wave
Links: