Giunti alla seconda fatica con la pubblicazione di ‘Voyager‘ (STORMWOLF – Voyager), i genovesi Stormwolf sono ormai una realtà consolidata del panorama del metal nazionale. I nostri si presentano con una formazione rinnovata che oggi abbiamo l’opportunità di intervistare per farci raccontare qualcosa di più sulla storia e sul loro futuro:

(Risponde Francesco Natale, chitarrista e fondatore della band)

D: Fondati nel 2014, con all’attivo due album e un demo, se non sbaglio. Ci raccontate qualcosa sulla vostra storia?

FN: Nasciamo ufficialmente nel Dicembre 2014, grazie al fortuito e fortunato incontro con Elena Ventura, nostra prima cantante. Due settimane dopo stavamo già lavorando alla registrazione del nostro demo “Swordwind”, uscito nel 2015. Visti gli ottimi riscontri abbiamo deciso di proporci dal vivo. Abbiamo reclutato un vecchio amico, Dave “The Brave” Passarelli alla seconda, indispensabile, chitarra e abbiamo suonato parecchio in giro per l’Italia, arrivando ad aprire per band molto rinomate quali Necrodeath, Lacuna Coil, Mastercastle. Al contempo abbiamo cominciato a scrivere materiale per il nostro primo disco ufficiale, affrontando nel mentre cambio di sezione ritmica e agganciando il nostro “motore V8” alle pelli, Tiziana Cotella, giovanissima ma incredibilmente talentuosa batterista, che ci ha dato una marcia in più sia per quanto riguarda il “live” che, soprattutto, a livello compositivo.

Nel 2018 abbiamo pubblicato “Howling Wrath” per Red Cat Records di Alice Cortella, con ottimi risultati sia in termini di critica che di vendite, sia in Italia che all’estero (specialmente in UK, Ungheria, Repubblica Ceca, mentre in Olanda, per dire ci demolirono…). Suonammo parecchie date a supporto del disco, partecipando anche a qualche “Festival” (Mantova, Bolzano). A questo punto Elena decise liberamente ed amichevolmente di lasciare la band per perseguire la sua fortunata carriera solista di cantante Jazz/Pop. Ci mettemmo di conseguenza a cercare una nuova cantante, mentre stavamo già lavorando alle canzoni del nuovo album. Nel mentre arrivò la cosiddetta “emergenza sanitaria” che fermò tutto. Dopo qualche buco nell’acqua e molto tempo passato a meditare, conobbi per caso Irene Manca, della quale apprezzammo da subito le straordinarie doti vocali. Purtroppo, data la quantità di progetti personali che Irene stava portando avanti, decidemmo di raggiungere un compromesso e divenire, almeno temporaneamente, “studio project” collaborando con lei al fine di chiudere il nuovo disco. E così nell’Ottobre 2024 è finalmente uscito “Voyager” che ci sta regalando soddisfazioni enormi.

 

D: Come funziona il vostro processo compositivo? I brani arrivano già in versione definitiva o sono il frutto di una collaborazione in studio?

FN: Solitamente partiamo dalla chitarra: a volte si cominciano a provare singoli riff per vedere se portano da qualche parte, se funzionano in autonomia o se possono incasellarsi in altro contesto già lavorato; altre volte io e Dave arriviamo con canzoni già strutturate per intero, ma totalmente disponibili a stravolgerle e rivoluzionarle su input della sezione ritmica o della Cantante. Lavoriamo molto a casa, ciascuno per i fatti propri, e lavoriamo ancora di più in studio, al fine di limare, integrare, rendere più interessante ogni “refrain”, più fluido ogni cambio di tempo, più sensati una modulazione o uno “stop & go”. Ma il tutto avviene in maniera straordinariamente immediata, istintiva, divertente: abbiamo un’intesa fuori dal comune, soprattutto grazie alla nostra sezione ritmica, preparatissima sul piano tecnico/teorico ma sempre attenta e coinvolta in quello che quegli scassacoglioni dei chitarristi fanno. Ci capiamo tutti al volo, senza bisogno di attriti, spiegoni, discussioni infinite. Cerchiamo, insomma, di lasciare il più possibile la Musica fluire, per poi “setacciare” e, magari, cambiare un tot di cose un quarto d’ora prima dei take finali in studio. Funziona? Per noi si, direi.

 

D: Ascoltando l’album e leggendo le recensioni si notano influenze classiche, di band come Iron Maiden, Accept e Manowar per i brani più tirati; Dokken e Warrant per i passaggi melodici? Cosa c’è di vero?

FN: Ci dichiariamo COLPEVOLI per tutti i capi di imputazione, vostro onore! Hai colto buona parte dei nostri mostri sacri (mi permetto di aggiungere a titolo personale Van Halen, Loudness, Children of Bodom, Crimson Glory). La passione per i Maiden è comune a tutti i membri della band (ed ai genitori dei medesimi: sui nonni ancora in vita non so, ma propenderei per il si!), poi ciascuno ha ulteriori preferenze in ambiti diversi: io sono il più “arcaico” (sono nato nel 1975) – (pure io e non c’è niente di male, n.d.r) e spazio dai Nazareth ai Fear Factory, passando per realtà completamente fuori genere (Rockets, Ivan Graziani, Duran Duran). Dave ha una propensione naturale verso certo Black Metal nordico tutto corpse painting e “viva il male.  Il nostro bassista, Davide, ascolta parecchio prog/jazz (Rush, King Crimson), mentre Tiziana, che ha metà dei miei anni, adora il technical death metal (Fleshgod Apocalypse, per citare una band). A parte questo, adoriamo tutti i Venom: forse è per questo, anzi, che non litighiamo mai.

 

D: Con un filone così importante e variegato di influenze, avete voglia di portare qualcosa di nuovo nelle sonorità, oppure preferite rimanere nel solco tracciato da questi mostri sacri?

FN: Penso che l’innovazione non possa mai essere qualcosa di progettato a tavolino: massimo rispetto per chi adotta questo approccio e questa metodologia di lavoro, ma non è roba che fa per noi. Il nostro obiettivo, direi l’unico, é cercare di scrivere buone canzoni e suonarle al meglio, lasciando spazio all’estro, alla voglia di “circo” di ogni singolo musicista (su “Dark Souls”, per dire, abbiamo inserito un assolo di batteria), ovvero divertirci a suonare qualunque cosa ci venga per la testa. Se poi qualcuno, come è ripetutamente successo, ci trova in qualche misura “innovativi”, tanto meglio e tantissime grazie! Elementi in tal senso, se vogliamo, ce ne sono: facciamo Heavy Metal “anni ‘80” ma influenzato spesso e volentieri da generi più risalenti (Rock/Blues) o più tirati (Thrash); abbiamo si una voce femminile ma lontanissima dai “canoni” della “metal queen” contemporanea, che sostanzialmente si palleggia tra due poli: o la valkyria invasata che si rivolge in soprano anche al commesso di Prada o l’orchessa sposa di satana con la voce abrasiva al carborundo. Cose rispettabilissime, per carità, che non fanno per noi, tuttavia. E che, personalmente, mi hanno davvero stancato, avendo saturato il mercato oltre ogni misura.

 

D: Venendo a Voyager, mi è piaciuta molto la copertina dell’album, così come la citazione storica del brano di Apertura (Lepanto 1571). Me ne raccontate la genesi?

FN: La copertina, così come per “Howling Wrath”, è stata realizzata da una bravissima illustratrice romana, Livia de Simone, specializzata in Fantasy/Gothic ma estremamente eclettica e tecnicamente preparatissima (L’ho vista personalmente fare schizzi a matita al tavolo di un bar: roba fuori parametro). Per quanto riguarda “Lepanto, 7th October 1571”, siamo partiti dalla melodia strumentale successiva al ritornello cantato. Ci piaceva il sound, potente e melodico ad un tempo, e abbiamo cominciato ad espandere quella struttura per arrivare ad avere un’intro, una strofa, un bridge e un ritornello. Ne abbiamo registrato due versioni, per tenere poi la seconda. Per quanto riguarda il testo, da subito ci ha preso bene l’idea di inserire nelle lyrics un tema di carattere storico. Vista anche la drammatica attualità di taluni eventi cui stiamo assistendo, ho trovato giusto rendere onore agli Eroi di Lepanto, che vendicarono l’atroce oltraggio di Famagosta e il cruento martirio di Marcantonio Bragadin. E per questo ho deciso di avvalermi come paroliere del mio carissimo amico di infanzia Alberto Lapidari (bravissimo bassista, peraltro, anche se nella vita di tutti i giorni fa il rispettabile manager), col qual condividiamo una comune passione per la Storia. Il risultato ci ha davvero soddisfatto, “better than the sum of all its parts”, direbbero gli Inglesi. E’ certo un brano lungo, ma straordinariamente coerente, narrativamente fluido, potente e veloce al punto giusto, soprattutto evocativo, che era la cosa per noi più importante, quindi grazie per il complimento!

 

D: L’accoglienza dell’album è stata a dir poco calorosa, vista anche la recente ristampa in digipack. Frutto di una buona promozione certo, ma avete fatto anche qualche data a supporto, o sbaglio?

FN: Qui, ahimé, tocchiamo un tasto dolente. Siamo contentissimi perché “Voyager” sta viaggiando forte, considerato il nostro essere “underground”: è cosa più unica che rara andare in ristampa dopo neanche tre mesi per una band come la nostra, specialmente perché dal vivo non abbiamo fatto assolutamente nulla. In parte perché la collaborazione con Irene era limitata alla registrazione dell’album, in parte perché io vivo da tempo lontano da Genova, in Provincia di Padova -specialmente ora che sono diventato Padre, il 25 Dicembre 2024- e quindi abbiamo problemi logistici non insignificanti per organizzare live. E’ certamente una dimensione che ci manca tantissimo: abbiamo sempre amato portare i nostri pezzi dal vivo e “spaccare tutto”. La voglia per il futuro c’è sicuramente: vedremo…

 

D: A questo proposito, quali sono i piani per il futuro immediato? Pensate di presentare l’album dal vivo?

FN: Ci piacerebbe, ovviamente, ma nel breve termine non credo sia possibile. Non vorrei che Stormwolf si confinasse nella dimensione di “studio project”, tuttavia. Il futuro è per ora inconoscibile, al riguardo: stiamo, questo si, già lavorando su nuovo materiale, in modo da non far passare sei anni anche stavolta per il prossimo disco, se possibile…

 

D: Quali sono invece gli obiettivi di lungo termine degli Stormwolf?

FN: Calciare culi, Dominare la Notte, Noi le Borchie, Noi il Metallo, Noi le Catene e tutte le parole a caso di un qualunque testo degli adorati Manowar, naturalmente! Facezie a parte, continuare a crescere musicalmente, migliorare, proseguire in questo meraviglioso viaggio, commettere errori nuovi, giacché di errori ne commetteremo sempre, nel far Musica, ma che almeno non siano sempre gli stessi. E comprarmi una Lamborghini con le copiose royalties, ovviamente, che fa fine e non impegna…

 

D: Ultima curiosità: nell’album bonus presente nel digipack proponete una serie di cover piuttosto eterogenee, dai Maiden ai giapponesi Loudness. A cosa si deve la scelta? Ognuno ha proposto qualcosa o sono brani che proponete dal vivo?

FN: Ancora oggi adoriamo suonare cover, per strano che possa sembrare, e qualcuna l’abbiamo sempre inclusa nei nostri “live set”, come “Crazy Nights”, ad esempio. In realtà la maggior parte delle cover su “Voyager” erano lo “stress test” per selezionare una nuova cantante, ovvero i brani scelti per testare rapidamente se le cose funzionassero o meno con colei che doveva succedere a Elena. Il risultato con Irene ci piacque a tal punto da decidere di fare un secondo disco di sole cover, aggiungendo  una “chicca” fuori genere come “I Won’t Dance- The Elder’s Orient” dei Celtic Frost (band che ho adorato in gioventù), con la collaborazione di Roberto Arata, cantante degli Stramonia (che ha curato la grafica del nostro booklet) e “The Butcher and Fast Eddie” dei Rose Tattoo, pezzone monumentale ove mi piaceva l’idea del dualismo vocale maschio/femmina, per il quale ci ha dato una mano il bravissimo Paolo Cintolesi, vera leggenda del rock genovese e dove duettiamo alle soliste io e il mio carissimo amico Marcello Dondero, storico chitarrista degli Used Cars. Le cover sono diventate, in definitiva, l’occasione perfetta per collaborare con Musicisti cui siamo legati da risalente amicizia, gettando un ponte, una volta di più, tra passato e futuro, nel segno della innovativa continuità. Un nostro “trademark”, se vuoi.

 

Ringraziando gli Stormwolf per la disponibilità, l’invito è di andarli ad ascoltare il prima (e più a lungo) possibile….

FN: Grazie infinite per questa bella intervista! Stay tuned and let the Stormwolf roam free!

 

 

Intervista a cura di Alberto Trump

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