Dischi della qualità di “Vespro” non mi capita di recensirne spesso. In una folla di gruppi che millantano creatività, cose da dire, talenti assortiti e cura maniacale, i comaschi Mysteria Noctis mantengono alla grande le promesse, consegnandoci un’ora di musica progettata, assemblata, cesellata e levigata con maestria autentica dove anche la componente emotiva trova spazio, a conferma di una consapevolezza musicale che va oltre alle capacità meramente tecniche.
Siamo nel vasto e frastagliato campo del progressive rock/Metal e, per questo terzo album, il gruppo guidato dai fratelli Negretti (Alessio alla chitarra e Alberto alla voce) ci propone un concept tormentato e onirico, dove una misteriosa lettera dal passato innesca una serie di riflessioni e turbamenti nella vita del protagonista, che si troverà a riconsiderare le proprie scelte di vita (spesso a scapito altrui) subendo un vero e proprio processo, che lascerà socchiusa la porta verso un’assoluzione che solo lui potrà scegliere di concedersi.
Apprezzatissima la definitiva scelta dell’italiano, dopo i timidi tentativi dei dischi precedenti, come lingua capace di veicolare e restituire in maniera autentica e ricca la vasta tavolozza a disposizione della band.
Quando nelle righe di presentazione ho letto del “forte influsso della musica elettronica”, ho avuto la mia solita reazione di scettico distacco, come per prepararmi all’impatto con i soliti merdosi loop a supporto e riempimento degli spazi vuoti, di idee e di musica… Poi ho ascoltato il primo brano: “Ombre Dal Passato”. Con un arpeggio che sa di Anathema di fine anni novanta ed una voce padroneggiata alla perfezione (entrambe ottimamente registrate!) veniamo introdotti al racconto, che presto viene infiltrato da un’elettronica garbata e viva, pulsante, capace di una genuinità ed efficacia che mai avevo sospettato potesse esprimere. Sarà il taglio decisamente analogico e vintage (ma per nulla antiquato) scelto da Mattia Di Lorenzo e compagni per sintetizzatori e drum machine, saranno il sapiente dosaggio degli ingredienti, la sensibilità nell’uso o l’intelligenza nell’arrangiamento, ma credo di aver finalmente compreso come anche gli strumenti elettronici possano contribuire all’arricchimento musicale ed emotivo di un brano! La sinergia con l’esplosiva batteria di Giacomo Piccinini è qualcosa di veramente azzeccato, che mi ha evocato gli episodi più sostenuti degli UNKLE, ma decisamente meglio.
La breve strumentale “Discesa” è magnetica nella sua essenziale sobrietà fatta di solo sintetizzatore e batteria e ci familiarizza con l’utilizzo dei temi ricorrenti, una efficacissima tecnica narrativa utilizzata per tutto il disco.
Stupisce il motivo gioioso e solare in sol maggiore con cui inizia “Anatema”, anche se la sua metrica sghemba ci suggerisce già un’inquietudine di fondo che presto salirà a galla. Dopo le belle strofe, che sembrano un brano di Alberto Camerini messo nel frullatore, abbiamo l’iconica melodia del ritornello, ultimo faro di luce in una composizione che si dedicherà poi all’esplorazione dei meandri sonori più oscuri, fino alle voce filtrata e semigrowl del finale.
La variegata e bellissima “Ritorno” sembra iniziare come un singolo dei Ghost, ma rifiuta le rassicuranti strutture pop per proporci una scrittura frammentata e avvincente in cui si può ballare il valzer, inciampare, perdersi, fermarsi a pensare, persino annoiarsi un poco, ma solo per ripartire.
Un appunto dal punto di vista della scrittura dei testi mi sento di farlo, ed è la consueta constatazione dell’utilizzo di parole piane o sdrucciole accentate come fossero tronche, con quell’effetto grottesco e dilettantistico che mi lascia sempre perplesso. Poi abbiamo l’errato utilizzo della parola “eco” al maschile, ma vabbè. Piccoli dettagli migliorabili che non compromettono più di tanto il quadro generale. Come la voce di Alberto, che su certe note lunghe o acute (comunque intonate) può non convincere del tutto, ma resta quella di un cantante eccellente, preparato, attento, ricco di registri e sfumature, nonché autore, col fratello Alessio, di melodie intelligenti e memorabili.
Più che lo sfoggio pirotecnico, trovo apprezzabile nel prog la capacità di inserire le complessità tecniche più ardite in un contesto di fruibilità e apparente semplicità. E in “Valzer D’Inverno” succede qualcosa di simile: dopo l’apertura pianistica alla Savatage rimaniamo ammaliati dalla narrazione, agganciata a melodie nitide e potenti, mentre strumentalmente succede di tutto, con il basso del giovane Gioele D’Adda tenere tutto ben serrato. A confermare la teatralità dell’approccio, abbiamo l’utilizzo di diversi cantanti/personaggi, in questo caso una voce femminile, brava e professionale ma probabilmente non indispensabile.
Quanto mi piace il suono della batteria di Giacomo Piccinini! Deve essere piaciuto un po’ a tutti, dato che ce lo troviamo a introdurre la trascinante “Ricordi?”, una sorta di duetto tra il protagonista ed un amico tradito e abbandonato, in una montagna russa melodica di grande effetto.
Veniamo ad un brano chiave e per certi versi spiazzante dell’intero concept: “Il Processo”. In un’atmosfera tesa e drammatica da duello western notturno, Alberto cede il microfono e ci troviamo ad ascoltare le accuse rivolte al protagonista in forma di rap dall’accento lombardo, sulla cui opportunità restiamo dubbiosi. Con la retorica tipica del genere, probabilmente queste barre sono veramente il modo più efficace di introdurre nel tessuto narrativo quell’elenco di capi di imputazione, declamato con collaudata stizza urbana, che aiuta anche a collocare storicamente l’intera vicenda. Una drammatica cavalcata finale e sezioni funzionali allo snodo della storia caratterizzano questo brano che, come i recitativi delle opere, paga la sua funzione di servizio risultando, a parità di qualità, meno credibile rispetto alle altre composizioni.
Come in ogni disco prog che si rispetti abbiamo una suite che supera i dieci minuti e in effetti nelle varie stanze de “La Villa” c’è posto per tante cose, tra sezioni aggressive in growl/scream, melodia italica, fughe strumentali, assoli a botta e risposta tra chitarra e tastiera, sospensioni drammatiche e il ritorno del rapper suicida che legge la condanna al mostro. È il momento di aprire “L’Ultima Porta” della villa e la stanza si apre su un tappeto di rarefatta elettronica, pronto a esplodere in un pienone rock tastieristico. Tra riff arcigni e ripiegati su loro stessi il cerchio si chiude col canonico archetipo dello specchio, con tanto di presa di coscienza e scelta finale.
Il brano più heavy è la conclusiva “L’Ombra”, che ripropone i vari temi musicali con grande enfasi per un finale esplosivo e trascinante che lascia aperto alla nostra interpretazione l’epilogo della storia.
Di questo disco ho apprezzato, ancor più del talento dei vari musicisti, il lavoro e l’impegno che si percepiscono in ogni passaggio, in ogni scelta compositiva, con l’intenzione di restituire dignità ad un arte del fare musica così spesso svilita e appiattita.
Anche la parte grafica è ugualmente curata, dall’elegante monogramma in stile ventennio alla sobria copertina di rosa vestita.
Questa è ottima musica italiana contemporanea: ascoltatela!
Marcello M
Tracklist:
- Ombre Dal Passato
- Discesa
- Anatema
- Ritorno
- Valzer D’Inverno
- Ricordi?
- Il Processo
- La Villa
- L’Ultima Porta
- L’Ombra
- Anno: 2025
- Etichetta: Autoprodotto
- Genere: Rock Progressivo
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