Avevo già avuto l’occasione di ascoltare questo valido trio genovese in occasione del loro precedente album (“Varego”, 2021), apprezzandone in particolare l’ultima traccia, l’unica cantata in italiano: è quindi con grande piacere che scopro in “Denti Di Cane” un disco interamente scritto in lingua madre.

Abbandonate definitivamente le velleità progressive e le sonorità più metalliche (che, in verità, se non le avessi lette citate in biografia, mai mi sarebbero venute in mente) il gruppo si assesta su una dimensione musicale che mi suona come un viaggio indietro nel tempo. Già, perché se è vero che qui di Mastodon, Voivod o Neurosis non ne sento traccia alcuna, quello che ho riconosciuto immediatamente come familiare è un feeling anni novanta che li avvicina tantissimo a quello che, all’epoca, definivamo “rock alternativo italiano”. Ora, non so quanto questa associazione sia intenzionale e neppure se la band ci si possa identificare, ma, complice la lingua, a me è sembrato di riascoltare in versione leggermente più irrobustita, quella freschezza noncurante (ma anche l’autoindulgenza pretenziosetta) che caratterizzarono i dischi di Afterhours, Verdena, Marlene Kuntz e compagnia. Che a me, all’epoca, facevano cagare.

In realtà, anche lì dentro c’era tanta bella roba, e anche se io ci ho messo un paio di decenni per capirlo, probabilmente i Varego sono più smaliziati e attenti di me e sono riusciti ad assorbire suggestioni sia dall’interno del recinto Heavy, sia dalle vaste praterie tutto attorno.

E così questo nuovo disco suona semplice, conciso (anche nell’agile minutaggio di mezz’ora), immediato, fresco, energico e pure suggestivo, a tratti ricercato. Per dipanare questa lista di aggettivi e riempirli un po’ di significato, scenderei nel dettaglio dei singoli pezzi, a partire da “Giardini Di Plastica”, col suo riff stoner che spinge verso un ritornello melodico con belle armonie vocali, senza fronzoli, solo con la voglia di suonare, fregandosene del fatto che infilare un minuto di assolo possa abbassare il coefficiente di fruibilità. Ma, come potrete vedere voi stessi nel video del brano, i nostri tre sembrano fottersene di parecchie cose…

Con un riff ritmicamente e melodicamente analogo a quello del brano precedente, “Peste Bianca” continua a dipingere scenari di disagio nei confronti della società, dell’ipocrisia delle convenzioni, camminando sulla sottile linea che separa il cringe dal grunge.

Anche se la voce di Davide Marcenaro (anche bassista) non è sempre “perfetta” e carismatica come quella dei frontmen dell’indie, risulta convincente nella maggioranza dei casi, ricordandoci un Manuel Agnelli un po’ più trasandato e meno acrobatico.

Ciò che ho più apprezzato maggiormente di questo disco è il fatto che sembri registrato dal vivo, con gli strumenti che scrivono il tempo in base alle proprie esigenze, liberi da vincoli metronomici, restituendoci quel respiro e quella vitalità indispensabili a rendere coinvolgente il rock.

Macchie” è una canzone dalla struttura più articolata, dove la batteria di Simon Lepore è protagonista e gestisce magistralmente le dinamiche del brano, ricco di pause e partenze, con arrangiamenti ritmici che costituiscono i momenti migliori della composizione. Ritornello a più fasi, interessante, con i tre strumenti che si intrecciano in modo non banale, mentre il testo non è dei migliori.

Una pezzo dritto e diretto come “Non Finirà”, nella sua essenzialità, dimostra che i Varego hanno la credibilità (anche anagrafica) per gestire la semplicità come una scelta e non come un limite, costruendo uno stile e un’identità sempre più definiti.

Le ultime tre tracce secondo me sono le migliori, a partire dall’evocativa title track, che immagino sia dedicata alla loro città, dove i “Denti Di Cane” sono da intendere in senso “crostaceo” e ci vengono proposte immagini, odori e sensazioni di forte suggestione. Il brano ha un crescendo molto ben gestito, che parte da atmosfere crepuscolari, si gonfia, torna a ritirarsi, esplode e si fa calmo. Sì, come il mare, ma non lo scrivo perché è troppo ovvio. Assolo in whw wha per Alberto Pozzo, che si conferma chitarrista consapevole e maturo, senza nulla da dimostrare, sempre al servizio della canzone.

Forse il brano che mi ha colpito di più è “Van Deluxe”, che ha un incipit alla Rush, una strofa hardcore noise, e ritornello grunge, con un testo duro ben interpretato da Davide, che nelle ripetizioni di “…per non emergere” ricorda parecchio il nostro giudice di X Factor preferito… Ottimo lavoro.

Ancora una volta notiamo con piacere un artwork di qualità, perfettamente connesso al contenuto musicale del disco.

Sono Stanco” è l’improbabile (ma vera) fusione tra Saint Vitus e Verdena, con un finale che richiama i Type O Negative di ‘October Rust’. Vi ho incuriositi?

Spero di sì, perché questo è un disco che si gusta volentieri e che vi potrà dare soddisfazioni fin dai primi ascolti.

Certo, fosse uscito trent’anni fa, sarebbe tutta un’altra storia.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Giardini Di Plastica
  2. Peste Bianca
  3. Macchie
  4. Non Finirà
  5. Denti Di Cane
  6. Vans Deluxe
  7. Sono Stanco
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Autoprodotto
  • Genere: Rock Alternativo, post Metal, prog stoner

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